Roberto Bombarda - attività politica e istituzionale | ||||||||||||||||||||||||||||
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Trento, 19 ottobre 2009 “Con le mani nella terra”. Potrebbe essere questo il motto della presente proposta, che intende porre all’attenzione delle istituzioni e dell’opinione pubblica un problema sempre più evidente: vale a dire, il distacco sempre più forte tra i giovani e la terra. Fintanto che il Trentino, come il resto d’Italia, era figlio di una civiltà contadina, i giovani crescevano vicino ai campi, agli orti, ai frutteti ed imparavano dai familiari come lavorare la terra. Ma, accanto al duro lavoro, apprendevano pure le basi elementari dei cicli della natura: “il pane sotto la neve” della stagione invernale, il risveglio della primavera con l’apprestamento dei terreni e la semina, il lavoro estivo in attesa del sole e della pioggia, infine l’autunno con la raccolta ed il momento del “ringraziamento”. Per poi aprire un nuovo ciclo, come da epoche immemorabili. E con il lavoro imparavano pure il valore dei beni naturali, l’acqua da utilizzare con parsimonia, il ruolo degli animali, dalle api agli uccelli, fino agli asini ed ai buoi per il traino degli attrezzi. Ora che anche il nostro territorio si sta urbanizzando sempre di più, che l’agricoltura e l’allevamento sono praticati da una esigua minoranza, in diversi casi estremamente motorizzata e non più memore del rapporto atavico coi campi, e che anche nei paesi posti nelle vallate più marginali l’espansione dell’edilizia lascia sempre meno posto alle aree orticole ed agricole, in particolare all’interno od in prossimità degli abitati, sia sta perdendo la “buona abitudine” di coltivare – anche part-time – i campi, gli orti ed i frutteti (per non parlare dell’allevamento, in particolare del piccolo allevamento di tipo familiare, ancor più penalizzato ed ancor più in crisi). I nostri giovani, esperti in tecnologie informatiche e telecomunicazioni (senz’altro utili, ma non più di altre conoscenze per così dire “tradizionali”) non sanno più da dove arrivino il latte ed i formaggi, quale importanza abbia per l’intero ecosistema il piccolo insetto che ci dona il miele, quanta passione e quanti sacrifici servano per portare al mercato una mela o una patata eccellenti dal punto di vista organolettico. Un altro aspetto di questa situazione, spesso non considerato, riguarda il legame tra la conoscenza della campagna, l’educazione alimentare, l’impatto delle scelte individuali sull’economia di un territorio. Chi mette le proprie mani nella terra sa anche riconoscere ed apprezzare i prodotti che è in grado di offrire. Sa quanta fatica e quanto amore occorrano per produrre qualità. Sa riconoscere al prodotto il giusto prezzo e quindi al produttore l’adeguata remunerazione al proprio lavoro. E’ più capace di fare scelte alimentari consapevoli, di privilegiare il prodotto locale, a basso impatto, di stagione. E questa capacità ha enormi ricadute di tipo economico quando viene esercitata dalla sommatoria di tutti i consumatori, dall’acquirente al supermercato, o dall’amministratore della mensa pubblica. Poiché tutte le cose di questo mondo si imparano soprattutto grazie all’educazione che fornisce qualcuno, in prevalenza la famiglia o la scuola, anche l’educazione alimentare dovrebbe passare attraverso vari momenti di apprendimento. E poiché, come poc’anzi rammentato, l’educazione alimentare deriva spesso dall’esperienza diretta – che rimane, in genere, il metodo pedagogico più apprezzato dai giovani di ogni epoca – sembra per nulla secondario proporre che gli istituti scolastici, ovviamente affiancati dalle associazioni dei coltivatori, dall’Istituto agrario di San Michele, dagli educatori ambientali delle rete provinciale promossa dall’APPA, dai Musei (come quello di Scienze naturali o il “Civico” di Rovereto leader nello studio della botanica), dai Parchi e dagli altri enti funzionali della Provincia possano progressivamente introdurre, dove possibile e nel pieno rispetto della loro autonomia scolastica, piccoli orti, serre, giardini, attraverso i quali avvicinare i giovani alla terra, alle sue dinamiche – il ciclo delle stagioni, l’impiego dell’acqua, la forza del sole – ai prodotti che ci dona, alle loro caratteristiche biologiche ed alimentari. Il ciclo sarebbe quindi idealmente completato se questi prodotti della terra fossero poi impiegati nelle mense delle stesse scuole, con un risparmio (sia pur modesto), sui costi complessivi della ristorazione. Va detto, per correttezza, che da anni alcuni istituti ed alcune scuole materne operano già in questa direzione, in alcuni casi anche con la collaborazione esterna di educatori preparati, ma questo accade più per l’ambizione e la buona volontà di singoli insegnanti che portano avanti un onesto impegno educativo, che non per una visione complessiva del ruolo della scuola trentina. E’ vero anche che il massimo della produzione orticola avviene nel periodo estivo, quando le scuole sono chiuse, ma con l’ausilio di serre, con l’attivazione di alcune collaborazioni e con programmazione ed avvedutezza si potrebbero comunque produrre anche negli altri periodi dell’anno – a piccole quantità – diversi prodotti, che in casi di eccedenze potrebbero in ogni caso essere raccolti e commercializzati da coltivatori locali o da cooperative agricole, oppure ancora da enti di assistenza per destinarli al consumo di anziani o di famiglie in difficoltà economiche. Ciò che qui si propone è un’iniziativa di sistema, sul modello di quelle già sviluppate in altri Paesi europei. In Gran Bretagna, ad esempio, opera da anni un grande progetto nazionale, ideato dalla Royal Horticultural Society e denominato “Campaign for School Gardening”, per portare all’attivazione in ogni scuola di un orto e di un giardino. Uno staff di persone competenti, siti internet ed appositi strumenti di informazione, momenti di formazione ed aggiornamento degli insegnanti stanno rivoluzionando il rapporto tra i giovani e la terra, riavvicinandoli alla campagna, educandoli a conoscere, apprezzare e conoscere i prodotti. Sempre in Gran Bretagna opera pure il progetto educativo denominato “Forest schools”, dedicato in questo caso ad avvicinare i giovani in modo innovativo e divertente al bosco ed alla natura. Infine, è utile riportare l’esempio della Fondazione per l’educazione ambientale (FEE – Foundation for Environmental Education), presente in 58 Paesi di tutti i continenti con 66 organizzazioni, promotrice del programma “Eco-Schools”, che coinvolge 25 mila scuole, 6 milioni di studenti, 400 mila insegnanti e 4 mila autorità locali. Il premio per le attività delle Eco-Schools consiste nella “bandiera verde”, che sventola all’ingresso degli istituti scolastici aderenti e che va mantenuta annualmente dimostrando l’impegno e la partecipazione di docenti e studenti sui programmi attivati. Questi non sono che alcuni esempi di come coinvolgere concretamente i giovani su programmi e modalità di apprendimento coinvolgenti ed entusiasmanti. Ciò premesso il Consiglio impegna la Giunta provinciale 1. ad avviare e finanziare in via sperimentale, nel rispetto dell’autonomia scolastica dei singoli istituti, in collaborazione con le associazioni dei coltivatori e con l’Istituto agrario di San Michele all’Adige (Fondazione Mach), con i Musei, i Parchi e gli altri enti funzionali della Provincia, un progetto per la diffusione degli orti e dei giardini nelle scuole trentine, avviando così un percorso virtuoso di conoscenza e rispetto verso la terra, verso l’agricoltura, per la conoscenza ed il consumo dei prodotti locali e di stagione. cons. Roberto Bombarda
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